Noi sentivamo che tutte le cose erano come noi.  Antonella Caforio

Noi sentivamo che tutte le cose erano come noi

Por Antonella Caforio

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Sinopsis

Uno tra i più grandi antropologi, Claude Lévi-Strauss, in uno dei suoi ultimi articoli osservava come, per la maggior parte delle popolazioni senza scrittura, il tempo mitico sia stato quello nel quale gli uomini, gli animali e tutti gli elementi della Natura comunicavano tra loro, e non si percepivano affatto distinti gli uni dagli altri. La fine di questo mondo meraviglioso, però, non ha riguardato solo gli esseri umani o gli animali, come testimonia per esempio molto bene il racconto biblico della Torre di Babele, ma proprio tutte le forme viventi. In effetti, l’armonia primordiale di cui parla l’antropologo francese è un desiderio e, allo stesso tempo, un obiettivo comune a tutte le popolazioni tradizionali, in quanto si inserisce in una visione del cosmo molto ampia che presuppone il rispetto per la Vita in tutte le sue forme. Proprio questa concezione dà al termine rispetto dei significati molto diversi da quelli cui noi siamo abituati, e che mi piacerebbe qui approfondire. Racconti, leggende, usi, miti, credenze, in verità, rendono evidente un rapporto con gli esseri umani e le entità presenti sulla Terra ben differente da quello proprio delle società occidentali tanto che all’inizio si può rimanere piuttosto sconcertati. Infatti, in questa concezione anche l’idea di uguaglianza si presenta in maniera molto diversa da quella che è oggetto di tante considerazioni e discussioni anche piuttosto aspre nelle nostre culture. L’uso dei termini è già fonte di riflessioni: in numerosi testi, per esempio, la lettera maiuscola è molto utilizzata quando si vuole far notare il rispetto o l’ammirazione nei confronti di un essere, come in questi casi: “fu mio Nonno ad instillare in me la conoscenza delle credenze e del modo di vita tradizionale del nostro popolo. ... Mio Nonno era la luce della mia vita, il sole, la luna e le stelle riunite.” (Lame Deer, Erdoes, 1992: 23-24) Tratto dall'Introduzione

Antonella Caforio


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